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Scenicus-theatralis

di Yvonne Lammerich





La presenza della luce è percettibile solamente quando questa è imprigionata. Senza superfici per rifletterla, la luce passa oltre la nostra coscienza ed i nostri desideri. Tuttavia, interagendo, la nostra percezione che si inse­risce nel tempo ed il movimento, oscilla tra le con­venzioni e le nostre illusioni sulla realtà. Ancora non si comprende bene l’influenza che ha la luce sul nostro corpo nella sua globalità. Questo, come organismo dis­teso, si trova in un campo percettivo e psicologico che istituisce un seguito di superfici fotosensibili veramente complesse e mutevoli.




Nella sua relazione fondamentale con la materia e nei suoi rapporti molto complessi con il corpo, la scultura fa uso delle superfici materiali, ora come entrate ed ora come uscite che conducono allo spazio psicologico, sociale ed immaginario che lei utilizza per costruire le percezioni che ha di lei stessa e del mondo. Infatti, Francesca Penserini inizia la sua ricerca scultorea interrogando due dimensioni: la luce e la superficie.




Nel 1985, la Penserini ha prodotto un gruppo di disegni che rappresentavano un muro curvo, autoportante e traforato, per formare cinque arcate. In questa finzione, le ombre dell’architettura convergono verso un punto centrale e drenano lo spazio grafico del disegno verso un’illusoria superficie curva. Questi disegni pianificano una sottilissima contraddizione tra le attese grafiche che crea l’immagine e la realtà grafica che lei costruisce.




La grammatica classica della prospettiva applicata alla luce ed alla forma è stata oggetto di un’opera, La Piscina Verde (1985), presentata alla Villa Schifanoia, in Italia. Nel suo spirito, questa opera, non è totalmente estranea alle distorsioni che un Jonathan Borofski applica o proietta sulle superfici architettoniche. Nella sua opera, la Penserini non abbandona l’argomento dell’architettura, ma apre un varco nello spazio psico­logico e mitico di questi sogni-narrazione che sono al centro dell’opera di Borofski.




La Penserini si concentra su una sensazione illusoria di spazio, dipingendo dei profili di finestre gotiche nere che si allontanano in prospettiva come se esse buca­ssero un muro curvo. La sala che sostiene queste finestre è di fatto rettilinea e uno spazio interno si sta­bilisce, che approfitta dell’impressione delle tenebre esterne create da forme scure. Il soffitto aumenta la distorsione spaziale, perché una grata coperta di una pittura fosforescente è appesa ad esso. La struttura blo­cca la luce fluorescente verdastra emessa dal pavi­mento e che è diffusa dalla piscina. Di più, la grata aerea è deformata, così che l’osservatore fa fatica a percepire la sua posizione esatta in uno spazio quadre­ttato. La Piscina Verde causa un forte disorientamento, sul piano psicologico.




In questa opera, il ruolo della luce fluorescente, un poco assomiglia e un poco differisce da quella attribuita a Bruce Nauman in Green Light Corridoio, un opera che sfruttava, a livello concettuale, la natura della luce fluorescente nel senso di un disorientamento calcolato, di un meccanismo che controlla uno spazio socializzato e politicizzato. Francesca Penserini non esercita tuttavia né potere né controllo sociale; dalla teatralità parado­ssale della luce verde fluorescente trascina l’osser­vatore, come un soggetto, nel suo gioco di percezioni e di sensazioni. Il registro sensoriale dell’osservatore, soggettivo e psicologico, si trova illuminato come da una poesia.




La dicotomia, tanto interna che esterna che oppone lo spazio condizionato ed il suo equivalente interiore, si chiarifica ancora in Fiume Foglia (1987), una fattispecie di sarcofaghi in piedi di cui il profilo gotico è in scala umana. Tappezzata di un sudario, ogni nicchia ospita lo schizzo di un corpo a grandezza naturale, tracciato con una pittura fosforescente. Questi scuri sarcofaghi messi in semicerchio intorno ad un Vortice (1987), formato nell’argilla, modellato nella resina epoxyde coperto di una patina completamente dipinta che presenta diversi gradi di colore che vanno dal bianco al blu.




I corpi, nel Fiume Foglia, sono percepiti attraverso una finestra che non è piatta, ma che fascia lo spazio come un bozzolo: uno schiudersi del corpo come un’identità tra il materiale e lo psicologico.




La forza del Vortice può essere percepita quanto come centripeto che come centrifugo. Simultaneamente, essa estrae i corpi dal loro bozzolo, verso il suo centro e li respinge, al contrario, dietro la « finestra », sulla cresta dell’onda. Questo tema della nascita e della morte, con l’acqua, materia in movimento che dà forma alla con­tinuità, è la rappresentazione di un dramma classico che fa sue le metafore del Gesamt-Natur, (la natura nel suo insieme), un motivo ricorrente nell’opera della Penserini.




L’opera seguente, esposta alla galleria Clara Maria Sels di Düsseldorf nel 1991, concettualizza più specifi­camente, il rapporto che esiste tra il corpo e la natura degli elementi che costituiscono la materia. Nelle opere; L’Onda, Il Cono e La Sfera (1991), ogni elemento è nettamente respinto dalle associazioni poetiche e psico­logiche reciprocamente, perché esso si prepara a stabi­lire un’altra relazione, concepita come più formale, e le­gata al corpo concettuale che ricrea l’osservatore.




L’Onda è un gesto scultorio in scala umana, una lama di fibra di vetro lavorata come una pittura. Essa riposa sui tre punti d’appoggio di un’impalcatura piramidale sem­plice, alta come un tavolo. Si può vedere un’acqua sia che si allontana, o che si avvicina al busto dell’osser­vatore.




Il Cono riposa su una base lei stessa conica, costituita di un intreccio di listelli diagonali che s’incrociano for­mando dei rombi e dei quadrati. Questa base è cinta da tre anelli che, dal basso in alto, si fanno più piccoli, in modo da rappresentare una griglia di referenza di for­ma ascendente. Dai due terzi del Cono fino alla cima, l’opera somiglia ad una punta avvolta a spirale di mate­ria organica surgelata di cui la superficie scolpita, poi modellata, ricorda i coni di sego di un Joseph Beuys. Tuttavia, questa punta di resina epoxyde richiede dei concetti di teatralità illusoria e di entropia in ciò che lei gerarchizza materialmente il seguito e le possibilità strutturali.




Il terzo elemento, La Sfera, una griglia leggermente curva che comporta sedici punti d’intersezione, è posata al suolo solidamente, al contrario delle altre due sculture. Nei limiti di questa griglia, una piccola sfera è poggiata, o sottomessa ad una rotazione immaginaria creata dalla griglia ondulata, lei stessa, localizzata, in qualche modo, da uno strumento cartografico.




Il trittico che formano l’Onda, il Cono e la Sfera attirano anche la nostra attenzione sulle possibilità materiali del movimento, della direzione e della posizione, grazie ai quali, noi dirigiamo il corpo fisico e psicologico fino ai suoi confini. Questa navigazione è resa possibile dalla dicotomia concettuale che impone di fare ordine del caos materiale. È per questa ragione che ogni proposta scultoria ha ricevuto il supporto analitico di una griglia, di una quadrettatura cartografica che la localizza e che dà ad ogni opera una forte dimensione razionale e concettuale.




La direzione, il movimento e la posizione hanno ugual­mente un legame con Lama di Fondo (1992), un legame che si collegherebbe quasi alle sinapsi. Un’ alta onda di resina epoxyde sembra sgorgare direttamente dal suolo, si slancia verticalmente, mentre a due o tre metri, quadrettato come una carta, un piccolo cesto posato a terra, contiene una sfera di argilla accura­tamente lucidata. Questa potrebbe d’altronde avere pre­cisamente questa forma perché è l’acqua che la spinge nel cesto semisferico.




Questo fenomeno dinamico piu­ttosto ristretto si associa alla verticalità dell’onda, che sembra imbrigliata. Difatti, per la suzione della minitur­bina, un’estrazione immaginaria della sua energia ha luogo. Qui, un cerchio s’è ridotto, dall’evocazione dell’energia impiegata a quella dell’energia estratta. In questa opera, la Penserini ha inserito la posizione dell’osservatore non solo nell’avvenimento che lega la natura e l’io, ma anche nella relazione che la vita intra­ttiene con l’arte divenuta invenzione e ricostruzione.




Nelle sue più recenti opere del 1995, che si possono considerare separatamente o riunite in una narrazione, la Penserini mette in rapporto l’io immaginario, l’io progettato e l’io in quanto che presenza.




Una spalla umana, il braccio e la mano, in legno, a grandezza naturale, sono sopportate da un alto tavolo rettilineo mentre una figurina di bronzo, in piedi sul palmo della mano, sembra pronta a saltare in questo frammento di un fiume gigantesco, situato in basso. Per empatia per il piccolo personaggio che si getta dall’alto di un frammento dell’io progettato, l’osservatore prende parte a questo teatro della vita e del destino. Per avve­rarsi, il desiderio si getta dall’altezza dell’io o del mo­mento, in modo frammentato.




Il trattamento che hanno subito i frammenti corporali mette in luce la raffinatezza progressiva delle tecniche di esecuzione. La spalla di blocchi di legno incollata è tagliata grossolanamente alla sega a catena, il braccio sembra tagliato allo scalpello mentre la punta delle dita sono levigate accuratamente. Questo passaggio, dall’attacco brutale della superficie del legno agli indizi impercettibili della trasformazione del materiale, non è solo la misura, ma anche il segno della scomparsa delle tracce dell’uomo e del presente corporale. Quello che è lasciato alla mano, è la ricostituzione di atti di volontà, vale a dire l’espressione di un’azione dinamica interna.




La seconda opera di questa installazione, Il Filo della Sarta, è un busto di donna leggermente ingrandito, che ricorda abbastanza il Monumento a Blanqui di Aristide Maillol, spogliato però dalle associazioni frammentarie classiche. Anche se era concretizzato solamente dal corpo dell’osservatore, questo busto era già il bersaglio della lama fuggente scolpita nel 1991: L’Onda.




Questa porzione di corpo, costituita di strati di legno incollati alla verticale, riposa, ad altezza naturale, su una grata a quadretti di forte calibro, avvolto a spirale. Questa base è una filigrana che dà l’illusione che il volume massiccio galleggia nell’aria. Qui, la circolarità ripetuta dalla spirale della grata crea un tipo di spazio in movimento molto dinamico di sotto al quale il corpo sembra planare. Anche se è solido e molto propor­zionato, il torso riceve un’energia materiale di questo influsso dinamico. La sua massa è attraversata dalla corrente, la sua forma, sottilmente ammorbidita e mobi­litata in una gestuale ascendente che conduce l’energia sopra della sua presenza materiale.




Nelle vicinanze, un piccolo cesto, agganciato ad un lungo filo di ferro, è posato in terra. Questo ricettacolo che contiene, conduce e radica l’energia, è iscritto nel prolungamento del torso sospeso. Sebbene questo gesto sia un richiamo del piccolo cesto con sfera, proposta in Lama di Fondo nel 1992, in questo caso il cesto è vuoto, tuttavia noi riconosciamo, in quanto spettatori, l’impossibilità’ dei nostri desideri se essi devono seguire questo filo ininterrotto. Il corpo per­sonale, come pure « il corpo sociale viene a cucirsi ed avvolgere l’incarnazione che lui realizza sua propria continuità […] da qui l’obbligo che porta a l’ordine ». (1)




Deviato dal torso, un terzo elemento scultorio, Uno dei due fratelli, è un corpo maschile, un poco più grande del naturale, rilassato ma dritto come un albero che ha messo le radici nella sala. Questa robusta forma è squadrata grossolanamente alla sega a catena: l’attrezzo ha lasciato dei segni chiari sul procedimento utilizzato. Un’impressione di disegno gestuale se ne libera che rivela il personaggio e allo stesso tempo, ne ricopre le superfici. Dallo sguardo fisso e determinato, il viso proietta davanti a lui, creando un tipo di corridoio visuale, un tunnel in cui la luce, paradossalmente, è bloccata o proiettata – come quella di un faro – per questa presenza.




In questo momento della sua storia, è difficile sapere se questa giovane opera transige con l’identità sessuale. L’opera di Francesca Penserini ci lascia questa inevitabile scoperta : l’estrazione dell’energia, che sia concettuale o reale, narrativa o cognitiva, dà addito a una conversione materiale e l’impronta manifesta di questa ci permette di ricreare il nostro corpo e di collegarlo al mondo.




Traduzione 2009, Lorenzo de Guidi e Francesca Penserini

(1) Peter Canning, Thinking Bodies, Stanford University Press, 1994 p 203




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